Riccardo Mazzei, poesia, poesie

Riccardo Mazzei, scritti in versi

Ricevimento parenti - A.D. 2208

 
Non serve entusiasmo
ma una disposizione minima sì
allo scivolare;
non serve energia, per finire,
nella più comune
e sana delle prospettive, e Dio ne scampi
al giorno d'oggi il disastro dell'accanimento non c'è più,
- che la mia collega di Storia -
ma divago: certo,
suo figlio fatica a volte a svolgere
il lavoro in classe, eppure è così
dotato
quando vuole, a cogliere bene
ciò che è d'ostacolo, a controllare ogni dettaglio
e trarne un'analisi anche ben fatta, lo dico a lei - a lui non lo dica -

ne avessi al quinto anno

ma lui sempre deve riderne, deve,
non ci crede, e mi trascina mezza classe in discussione.
Sì lei, capisco non ha familiarità, non è
ma provi a seguirlo quando deve eseguire le esperienze:
tutti finire bisogna, ed è importante farlo
bene
ai nostri ragazzi lo insegnamo o almeno si cerca:
per questo le dico, anche a lei:

alzi le sue mani per quella che sarà la fine.
 
Ma che azzurro-ori e contorni matita nera all'iridi,
ormai è la sera che si fermano le giostre.
Ieri era l'istante
in cui intingesti il viso nelle tinte elettriche,
ne ricordi le campane, i richiami, i cicalecci.
Residuano rimestati battiti di motori
fumi freddi di frittelle
canzonette e umidità.

La struttura della meraviglia non è che materia
scompaginata:
gondole, vetture, tazze, razzi
coccinelle
mentre bruni dorsi arcuati
e belle braccia
le guidano a impilarsi e scomparire.

Negli occhi
di un orso immobile
riverso su un fianco, sorridente, ivi
si cerchi testimonianza.

Colui che parla dell'arte

 
Trasudare, traboccare, proprio qui
io dico, in bilico d'oblio
per sentirsi d'amore confusi
- com'è naturale applicato all'idea di noi,
e spietato -
ma anche mi dico dentro
che qui per nulla c'è sviluppo,
quasi nulla, e tuttavia
- anche sopraffacimento, "con ferocia" -
in quegli attimi dannati
trasmutarci. Per via di cosa
importa sì, ma non si sa.
Mentre, penso, in belle speranze, in povertà
restante per quanto ci si adegui
- ...mai rinunciare al daccapo! -
subire peripli, ritorni:
solo così fanno i loro passi da gigante
anche le antilopi, i cocchi galleggianti, gli albatros
a ben vedere.
Noi più che altro spazi, tempi
di ghirigori, campiture, vibrazioni,
e tutte le vaste talora calligrafie sedimentarie.
In bilico dicevo se non sbaglio,
cos'altro?

Stavanger, Fabrikveien 21

 
Io qui sorgo,
e non sono né città, né monumento,
né fabbrica, né muro,
neppure, sono un uomo.
Ma tutto il tempo che mi avanza in questo giorno
l'avrò accanto fino in fondo:
taccio,
e bevo alla salute,
per quel che ne rimane, e che sarà.
Morì quasi d'un colpo il gran colosso della Eppus,
o non vollero dire che era grave;
nelle notti da operai che si faceva,
la pressione nei manometri segnava regolare,
impossibile a noi credere anche un semplice malore.
Ma poi vennero i discorsi ai capi-squadra,
le dicerie, le domande, i capannelli,
le riunioni a fine turno, poi gli scioperi,
gli scontri, i nuovi corsi, i nuovi scioperi,
le nuove leve del partito, da noi stessi incoraggiate,
che si perdevano per strada o nei locali della grande capitale.
Che se dei soldi non mi avanzano,
a loro posso alzare la bottiglia,
per davvero.
L'ultima mattina alle manovre di chiusura
ormai che si sapeva, io la vedevo
una squadra di silenzio immane
avanzarsi, sfilare al nostro fianco e prendere posto
ai quadri spenti,
alle tramogge immobili,
mentre tutto girava il capo al nostro andarcene
come i guardiani fuori dai cancelli.
Mentre quel randagio sulla strada, lui mi cercava,
io che non potevo dargli niente e invece mi inchiodò,
a orecchie basse,
che se fosse stato un uomo l'avrei guardato male,
lui fermo lì, cogli occhi bianchi e il pelo storto,
mi sembrò un vecchio, un senza terra che ha vissuto.
Poi si volse e scappò via
come spinto ad avvertire un altro.
Io taccio
sull'ultimo sorso,
e sento il muro dietro me, il muro della Eppus,
ricordarmelo, che l'alcool me l'oblia
in questi giorni di niente che mi faccio.
Ma io qui sorgo, e i passi muoverò fra poco
per Stavanger, al posto mio che mi rimane.
Sono un uomo
e sceglierò il mio destino e l'avrò accanto
fino in fondo

Strada di Natale

 
Sono volti che girano a vuoto
di gente infreddata,
e in un tuffo ci s'illude - vorremmo - di potenziale
calore, se non scambiato almeno nostro
per compagni di stiva
- ma condividiamo poi qualcosa, la lingua, chissà -
e ci si convince che almeno stretto
se lo portano dietro
per darlo a chi sanno
- noi non maturiamo disinganno che a cose fatte e disfatte -
in una loro gran fraternità,
di tutto sempre
irrimediabilmente a corto.

E, nonostante, trascuriamo uno scendere
e un salire
- per la dubbia sepoltura -
tra noi e i cieli.